Che fine hanno fatto quelle drag e quelle trans di colore che diedero vita ai moti di Stonewall nell’omonimo film di Roland Emmerich?
Uscito il primissimo trailer pochi giorni fa, il titolo del regista tedesco è finito nella bufera a causa di un presunto ‘sbanchiamento razziale’ su quanto realmente avvenuto.
Una petizione che grida al ‘boicottaggio’ ha già superato le 20.000 firme, con le associazioni glbtq di colore sul piede di guerra.
E lui, Emmerich, ha così replicato:
‘Quando ho iniziato a conoscere i Moti di Stonewall, attraverso il mio lavoro con il Los Angeles Gay and Lesbian Center, mi colpirono le circostanze che li avvolsero, i giovani senzatetto gay di oggi sono più o meno gli stessi che c’erano 45 anni fa. Le coraggiose azioni di tutti coloro che hanno combattuto contro l’ingiustizia nel 1969 mi hanno spinto a raccontare un romanzato e avvincente dramma di quei giorni, incentrato proprio sui giovani senzatetto, e in particolare modo su un giovane gay del Midwest che viene cacciato dai genitori perché omosessuale, arriva a New York e fa amicizia con quelle persone che sono attivamente coinvolte negli eventi che portarono poi ai disordini e alle stesse rivolte. Capisco che dopo l’uscita del trailer ci siano state preoccupazioni iniziali su come il coinvolgimento di questo personaggio è stato ritratto, ma quando questo film – che è veramente un lavoro d’amore per me – uscirà finalmente nelle sale, il pubblico vedrà che ho profondamente onorato gli attivisti che erano veramente lì, nella realtà, tra cui Marsha P Johnson, Sylvia Rivera e Ray Castro, e tutte quelle persone coraggiose che hanno scatenato il movimento dei diritti civili, che continua fino ad oggi. Siamo tutti uguali nella nostra lotta per l’accettazione‘.
Simbolo dei moti di Stonewall, come dimenticarlo, fu la trans Sylvia Rivera, che leggenda narra iniziò la protesta gettando una bottiglia contro un poliziotto.
Detto ciò, puntare il dito ‘razziale’ contro un film partendo da un trailer di 2 minuti non ha senso. Che si veda, prima.