120 battiti al minuto fa flop in sala e la Teodora attacca anche la comunità LGBT: ‘ve lo meritate Adinolfi’

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Un cinguettio polemico, pieno d’amarezza per un risultato imprevisto e immeritato.
Lo scorso weekend è uscito in 40 cinema d’Italia 120 Battiti al Minuto, capolavoro premiato a Cannes e in odore di premio Oscar, in quanto rappresentante ufficiale francese per la statuetta al miglior film straniero. Trionfo che in Francia manca da 25 anni.
Per il lancio della pellicola la Teodora, da sempre vicina al cinema LGBT (suoi anche Weekend e Pride, per dirne soltanto due) ha dato vita a ricche anteprime tra Milano, Bologna e Roma con cast e regista in sala.
Le critiche entusiastiche hanno fatto il resto, con un esordio che ci si augurava potesse dare ricche soddisfazioni alla casa di distribuzione. Ma così non è stato.
66.998 euro in 4 giorni di programmazione, con 10.299 spettatori paganti, una media di 1.675 euro a sala (la 4° della top20) e un 18esimo posto complessivo al botteghino.
Questi i deludenti risultati di 120 battiti al minuto al botteghino italiano, con la Teodora che sui social si è polemicamente scagliata contro la stessa comunità LGBT, colpevole, a suo dire, di aver snobbato una pellicola tanto centrata sul nostro passato fatto di lacrime, morte e battaglie, che inevitabilmente si rispecchiano su un presente meno drammatico ma ancora complicato.
‘Vi meritate Adinolfi’, cinguettano da Teodora, scivolando inevitabilmente su una buccia di banana che si tramuterà in boomerang, perché non è attaccando il pubblico che ne conquisti altro. Soprattutto dinanzi ad un film di genere che si rivolge principalmente a quella ‘fetta di mercato’.
Ma c’è un fondo di verità, in quell’amaro tweet, perché nel Bel Paese il cinema LGBT viene snobbato da sempre, tranne in rarissimi casi. Ci si lamenta per le mancate distribuzioni, quando titoli particolarmente apprezzati all’estero non riescono ad arrivare in Italia, per poi andare a vedere altro quando quegli stessi titoli sbarcano nelle nostre sale.
C’è un mancato interesse nei confronti del cinema queer che si ripete continuamente, release dopo release, obbligando indirettamente le case di distribuzione ad autentiche fughe a gambe levate dall’acquisto e dalla promozione di certi titoli.
Teodora, con quel cinguettio pieno di rabbia, ha sbagliato nei toni, perché neanche i russi si meriterebbero uno come Adinolfi, ma la comunità LGBT dovrebbe chiedersi come mai non abbia minimamente a cuore la rappresentazione della propria storia, del proprio io, al cinema, preferendo di gran lunga una puntata qualunque del Grande Fratello ad un film meraviglioso come quello di Robin Campillo.

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