The Normal Heart – Mamma Rai lo trasmetta in prime time

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Mark Ruffalo, Julia Roberts, Jim Parsons, Matt Bomer, Alfred Molina, Taylor Kitsch e Jonathan Groff, tutti catapultati nell’inferno dell’AIDS di inizio anni ’80. Con un cast così solo un pazzo avrebbe potuto partorire un’atrocità, e Ryan Murphy, rimasto al palo registico dopo l’osceno Mangia, Prega, Ama, ha fortunatamente evitato di scivolare sulla più incredibile delle occasioni perse.
The Normal Heart, titolo HBO andato in onda pochi giorni fa negli States, è infatti un film spaventosamente crudo, potente e maledettamente veritiero, tanto da pennellare con forza i fatti che sconvolsero il mondo e l’America 32 anni fa. I gay a stelle e strisce avevano da poco iniziato a ‘vivere’ la propria esistenza e la propria libertà sessuale dopo decenni di lotte ed oppressione. Erano sfacciatamente libertini, si pensava solo al sesso, le protezioni non avevano senso di esistere. Ma un male misterioso e incurabile arrivò a sterminarli, uno ad uno. Il cancro dei gay, venne ribattezzato. Si moriva nel giro di pochi mesi, non esisteva cura ma soprattutto non esistevano informazioni. Perché il Governo degli Stati Uniti d’America se ne lavò le mani fino al 1985, quando per la prima volta Ronald Reagan affrontò il tema della malattia del secolo. Che non riguardava più soltanto gli omosessuali, gli odiati diversi che Dio o chi per lui stava sterminando, bensì anche gli eterosessuali. Una storia tragica di silenzi e soprusi, diventata piece teatrale di successo ed ora film tv. 25.000 morti dovettero diventare realtà affinché la Casa Bianca si rendesse conto del ‘problema’. 25.000 morti nel giro di 5 anni ad oggi diventati 36 milioni. Dal 1981 ad oggi, con 6000 nuovi casi di contagio HIV al giorno. Murphy parte da lontano, dai festini a base di sesso e droga per mostrarci ciò che cambiò per sempre la comunità glbtq. Per farlo si è affidato ad un cast straordinario, capitanato da un isterico ma convincente Ruffalo, un trasformato nel fisico e toccante Matt Bomer, una splendida e combattiva Julia Roberts, un pazzesco Taylor Kitsch e un meraviglioso Joe Mantello, a cui viene affidato il monologo probabilmente più sentito dell’intera produzione. Un progetto a lungo cullato da Murphy, costruito sulla storia d’amore tra Bomer e Ruffalo, insieme fino all’ultimo a dispetto della malattia che divora il bellissimo Matt, giornalista del Times che perde la testa per lo scrittore ed attivista Ned Weeks. Anni in cui i gay erano ancora considerati ‘malati’, diversi. Gay che si nascondevano, che temevano l’etichettatura altrui, che non si esposero persino dinanzi ad una piaga simile, che li sterminava uno ad uno. ‘Perché ci lasciano morire’, si chiede più volte Ruffalo senza ottenere risposta alcuna. Murphy mostra, non si pone limiti, la morte e la distruzione fisica di quel ‘cancro’ che si credeva fosse legato solo al mondo omosex. Sbagliando. Le drammatiche corde emotive toccate dal regista vibrano per oltre due ore, portando lo spettatore a ritrovarsi tra le lacrime senza neanche rendersene conto. A causa dell’indifferenza altrui, del menefreghismo cavalcato da politici e stampa, che per anni finsero di non vedere, di non voler sapere e non voler curare un male che stava uccidendo gli omosessuali d’America. Una pagina di storia ai più sconosciuta anche se più volte sfiorata, tra grande e piccolo schermo, ma mai del tutto ‘esageratamete’ trattata. Perché 32 anni dopo c’è ancora chi considera l’omosessualità una malattia e i gay un male da dover estirpare. 32 anni di battaglie civili e di morti da ricordare ed omaggiare, affinché quel che avvenne all’inizio degli anni ’80 non possa più ripetersi. Anche per questo motivo The Normal Heart meriterebbe un passaggio sulla tv italiana. In prime time. Sul servizio pubblico di Mamma Rai. Per ricordare ai tanti omofobi nostrani che siamo esattamente come loro. Ne più ne’ meno. Di carne e con un cuore pulsante.

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