Torino GLBT film Festival 2013: resoconto finale (da giurato)

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28 anni di vita e non sentirli.
Non avevo mai preso parte al Torino GLBT film Festival, neanche da spettatore qualsiasi, per poi ritrovarmi senza neanche accorgermene in Giuria Lungometraggi.
L’esperienza, lo dico subito, è stata una piacevole sorpresa.
Anche dinanzi alla crisi che ha visto sforbiciare di un buon 20% il budget annuale, il Festival del cinema Gay più antico d’Europa ha calamitato frotte di spettatori, con il picco nel primo weekend e nella giornata conclusiva. Sale piene, vive, con file lunghe ed ordinate fuori la multisala all’ombra della Mole, per una manifestazione che meriterebbe un’esportazione di tipo nazionale. Come avviene con Cannes, Venezia e il TFF, che ‘portano’ alcuni dei film in cartellone a Roma e Milano, anche il Torino GLBT film Festival meriterebbe simile trattamento, in modo da ampliare il bacino di utenza ed allungare la vita cinematografica di alcuni titoli che in caso contrario non potranno mai esser recuperati dal ‘non torinese’ di turno. D’altronde di film ‘importanti’, in questa 28esima edizione, se ne son visti. Agli 11 in concorso, il sottoscritto ne ha poi aggiunti 3 fuori concorso (Any Day Now+Interior.Leather Bar+Divine), per 6 giorni di cinema glbtq che sono riusciti a smuovere risate, commozione, emozioni. A trionfare, con voto all’unanimità, è stato il crudo, coraggioso, silenzioso ma straordinario Boven is het Stil,su cui tutti noi giurati siamo andati sul sicuro. Appena visto ce ne siamo innamorati.

Solo alla fine, con l’ultimissima proiezione di Will you Still Love me Tomorrow? sono nati alcuni ‘dubbi’. Ma flebili e tutt’altro che concreti, per smuovere il trionfo del titolo olandese. Perché la deliziosa commedia taiwanese ha sbalordito, per quanto solo apparentemente leggera ma in realtà straordinariamente ‘pregna’ di significato, meritandosi automaticamente la menzione speciale. Ci fosse stata la possibilità di premiare anche ‘altri’ titoli, il qui presente si sarebbe fatto in quattro per lo splendido, romantico, poetico e coreografato Five Dances, mentre W Imie, tedesco premiato a Berlino con il Teddy Award, ha confermato la vivacità del cinema gay ‘made in Germany’, trattando un tema mai così attuale come quello dei preti omosessuali (e NON pedofili).

Se l’israeliano (interessante ma imperfettto) Alata ha fatto suo il premio del pubblico, si è fatto vedere con piacere anche lo spagnolo El sexo de Los Angeles, grazie anche ai due bonazzi protagonisti, mentre a far sua la MIA palma di PEGGIOR titolo del Festival è stato l’insostenibile Todo mundo tiene a Alguien menos Yo, film lesbo messicano in bianco e nero da denuncia al regista per scippo immotivato di 100 minuti d’esistenza. Volevo morì. Sbarcato a Torino senza conoscere un’anima che una, devo ringraziare i tanti ragazzi e le tante ragazze dell’organizzazione che hanno fatto in modo di rendere il più piacevole e impeccabile possibile il mio soggiorno. Carini, gentili, sorridenti, piacevoli. Tutti e tutte. Ci hanno seguito, sostenuto, accompagnato. Abbiamo chiacchierato, discusso, riso, divorato cioccolatini e aperitivato con tutti loro, contribuendo di fatto a creare un’atmosfera di serenità e amore per il cinema che ha poi trascinato l’intera giuria. E che giuria. Qui devo infatti spendere due parole sui compagni di viaggio (ben più famosi e quotati del sottoscritto) che mi son ritrovato al fianco.

1) Travis Fine: il suo Any Day Now (film d’apertura) ha emozionato il Festival. Non era in Concorso, andrà al Giffoni a breve, e ha fatto piangere praticamente chiunque. Prima attore e poi regista, Travis è stata la dimostrazione vivente che si può vivere ad Hollywood ed essere una persona con i piedi ben piantati in terra, cordiale ed amichevole, ironica e piacevole. Al suo fianco la splendida e spumeggiante moglie, nonché produttrice del film. Li ho amati, entrambi.
2) Diego Dalla Palma: ‘Truccatore, scrittore, imprenditore e personaggio televisivo italiano’, recita Wikipedia. Ebbene posso e devo aggiungere anche ‘persona meravigliosa’. Saggio, acculturato, alla mano, generoso, il Dalla Palma che ho conosciuto io era oggettivamente inimmaginabile. Ha dispensato perle di vita vissuta per un’intera settimana, mettendo in mostra una più che discreta cultura cinematografica, da alternare a battute fulminanti. Da oggi, caro Diego, hai un fan in più.
3) Lidia Ravera: un monumento nazionale, una scrittrice, una giornalista, da poche settimane assessore alla Cultura e allo Sport nella Regione Lazio guidata da Nicola Zingaretti. Colei che nel 1978 sconvolse l’Italia con Porci con le ali si è dimostrata essere quello che è sempre ‘sembrata’ essere. Ovvero una donna di una cultura nettamente superiore alla media, acuta, ferma sulle proprie posizioni, rigida ma anche cordiale, indaffaratissima, fermamente laica, innamorata della vita, del cinema che è in grado di esprimere ‘emozioni’ e del ‘tu’. Le ho dato del lei per 5 giorni, perché ovviamente ‘rispettoso’ nei confronti di una persona così ‘pregna’, beccandomi un vero e proprio cazziatone finale. Mea culpa.
4) Vladimir Luxuria: non avevo mai avuto il piacere di incontrare Vladimir. Mai neanche una parola, fino a sabato scorso, quando è arrivata a Torino. Da allora siamo stati per forza di cose insieme fino al giovedì successivo. E la sorpresa è stata totale. Perché la Luxuria che amavo ai tempi di Rifondazione, che avevo votato quando era naufraga all’Isola, che avevo apprezzato nei panni di inviata da reality lo scorso anno ma che non avevo mai ‘perdonato’ per l’abbandono al Parlamento , è una Luxuria diversa. Perché la Vladimir della quotidianità è ancora ‘meglio’ della Vladimir televisiva. Mai una parola fuori posto, sempre una battuta da giocarsi, disponibile con qualunque fan a qualsiasi ora del giorno e della notte, piacevole, estremamente elgante, pacata, mai volgare, amichevole e fulminante, nel saperti spiazzare sempre e comunque. Se a voi piace la Vladimir ‘mediatica’, sappiate che quella reale è ancora più fica. Ed è qui che è nato il mio piacevole stupore.

Ciò che ne è uscito fuori, dinanzi a 4 ‘colleghi’ di giuria simile, è stato un quadro di pura armonia e sintonia. Mi sarebbe follemente piaciuto raccontare chissà quanti piccanti aneddoti, quali coltellate ed insulti, quali antipatie e prove da ‘diva’, ma questo non è successo. Perché la settimana del Torino GLBT film Festival 2013 è letteralmente volata via, andando giù come l’acqua, tra buon cinema e tante risate, confidenze private e battutacce. In una città m-e-r-a-v-i-g-l-i-o-s-a come Torino, in cui germogliano cultura e civiltà ad ogni angolo di strada, il Torino GLBT film Festival si è presentato ai miei occhi come un’istituzione che andrebbe sostenuta dalla politica nazionale. Ma tutto ciò purtroppo non accade e non è accaduto, anzi. Eppure  è ancora lì, dopo 28 anni, a sopravvivere, grazie anche ai tanti che lavorano dietro le quinte, e che io ‘devo’ ringraziare. Perché se lo meritano. Dagli autisti ai tanti selezionatori, dal direttorissimo Giovanni Minerba ad Angelo Acerbi, fino ad arrivare alla splendida Livia che ci ha seguito come un’ombra per 7 giorni e ai tantissimi nomi che ho ovviamente dimenticato (memoria a breve termine portame via). Perché oltre al MOSTRUOSO gelato al Gianduia di Fiorio e ai tanti film visti in sala, che purtroppo quasi sicuramente non arriveranno mai a toccare le corde della distribuzione ‘classica’ nazionale, è questo quello che mi ha ‘regalato’ il Festival del cinema Gay di Torino. Una piacevole ed inattesa esperienza.

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