Torino GLBT film Festival 2013 – I Am Divine e la celebrazione di un’icona

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Attrice, cantante, performer, drag queen, attore, artista, musa, icona.
Harris Glenn Milstead, conosciuto in tutto il mondo come Divine, è stato ed è tutt’ora tutto questo, 25 anni dopo la sua prematura morte, avvenuta per arresto cardiaco nel 1988.
Il Torino GLBT film Festival 2013 ha deciso di chiudere la sua trionfante 28esima edizione con una giornata ricca di appuntamenti molto attesi. Tra questi il documentario I Am Divine, diretto da Jeffrey Schwarz e in grado di celebrare ed omaggiare la vita di un personaggio storico, nato underground e diventato quasi mainstream, dopo oltre 20 anni di onorata carriera.
D’altronde la vita di Divine ha vissuto più esistenze.
Un’adolescenza dolorosa, da ragazzo ‘diverso’, obeso, picchiato a scuola, senza amici e con un’innata passione per le parrucche, fino all’incontro con l’allora vicino di casa John Waters.
I due negli anni 60 osano ciò che appariva inimmaginabile. Disgustano, provocano, l’arte dell’eccesso diventa il loro pane quotidiano. Realizzano titoli low-low-low budget come Mondo Trasho, corti come Hag in a Black Leather Jacket e Roman Candles, fino a Pink Flamingos, film costato 10.000 dollari e passato alla storia per un’unica scena. Quella finale, in cui Divine mangia della vera cacca di cane appena ‘sfornata’ dall’animale in questione. Qui nasce un mito. Qui nasce Divine, stuprata da un’aragosta gigante nel corso della pellicola. I due diventarono l’uno l’ombra dell’altra.

Raccontando tutto questo ma anche molto altro, Jeffrey Schwarz prova a portarci per mano nella breve ma ricca vita di Glenn Milstead. Dall’adolescenza al successo, passando per i trionfi della disco music, i successo a Broadway, l’incontro con Andy Warhol, la copertina di Interview, l’America underground ai suoi piedi, fino al boom di Grasso e Bello, che consacrò Glenn come ‘attore’, e non solo come ‘grossa, grassa e sboccata drag queen’. Cresciuta a Baltimore, Divine fuggì perché ‘ripudiata’ dai suoi genitori. Era troppa, era eccessiva, volgare, formosa e provocatoria, e per questo calamitava attenzioni. Riempiva stanze, giornali, schermi cinematografici, palchi e televisioni. Era divina. Attraverso le interviste ad amici, colleghi, compagni di set e le parole dello stesso Glenn, Schwarz pellenna i lineamenti di un’icona, riuscita a superare tutte le difficoltà della vita traendo forza da quelli che solo apparentemente potevano sembrare dei punti di debolezza.Chi era realmente Divine? Cosa c’era dietro quel trucco, sotto quelle parrucche e dentro quegli abiti strizzati attorno ad un corpo di 130 kg? Fatte le domande, il regista ha provato a darci delle risposte, colpendo nel segno.

Tutto questo grazie ad un montaggio frizzante, mai stancante e noioso, aiutato da una grafica animata funzionale al lato sfacciatamente trash del personaggio, a filmati storici tutt’altro che conosciuti, dietro le quinte, scene tratte dai film più iconici e autentici lanci giornalistici dell’epoca. Perché Divine scandalizzò, emozionò, conquistò, dividendo sempre e comunque il mondo in due parti. Da una parte chi la detestava, guardandola con gli occhi di chi osserva un mostro, un freak da circo; dall’altro chi la venerava, perché così coraggiosa ed irriverente da scoperchiare le ipocrisie dell’America di un tempo. In tutto questo non va dimenticato che erano anni ancora cupi per il movimento omosessuale. Siamo a cavallo tra i 60 e i 70. Eppure quel gigantesco uomo truccato ed agghindato solo e soltanto per ‘lavoro’ toccò il cielo con un dito, sfiorando qualsiasi forma d’arte esistente  prima di spengersi senza nessun tipo di preavviso proprio nel momento più felice della propria carriera. Ovvero dopo lo strepitoso ed impensabile successo di Hairspray e poco prima di un’importante parte in una sit-com di successo, nei panni di un uomo. Divine era infatti finalmente pronta a diventare ‘passato’. A finire in soffitta, forse per sempre, insieme a parrucche e lustrini, per lasciar strada al timido, enorme ed estroverso Glenn, cresciuto grasso, tra omofobia, restrizioni e mancanze d’affetto famigliare, poi ritrovato con gli interessi nel corso della carriera, ma comunque diventato icona, grazie a quell’alterego pieno di vitalità. Prima di morire, per l’appunto, e rimanere sempre e solo Divine. Come se quella ‘maschera’, una volta diventata stella, non volesse più spegnersi.

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