Roma Pride 2010: ecco ALCUNE incredibili VERITA’

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A 40 giorni dal Pride capitolino più discusso e discutibile di sempre, ecco che alcune VERITA’ vengono a galla grazie ad una lettera firmata Francesca Maria Bianchi (Coq Madame), Samuele Benedetti, Ugo Malatacca, Gianluca Manna, Franco Salaris e Manuel Savoia (tutti Subwoofer Bears).
Una mail che esplicita molte verità fino ad oggi taciute, nell’organizzazione di un Gay Pride mai così politicizzato ed orientato da fini prettamente economici.
Più i giorni passano, più la mia decisione si fa sempre più forte.
Il 3 luglio il sottoscritto andrà al mare.

Ma ora leggete attentamente e strabuzzate pure gli occhi:

Il Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli, da molti anni ormai, è
capofila nell’organizzazione del Pride romano, ma quest’anno, più che mai, il suo ruolo di coordinamento è stato contestato da altre voci: rappresentanti di alcune associazioni (in particolare DiGayProject, e ArciGay Roma) e singoli attivisti. Le critiche si sono fondate in particolare sul ruolo egemonico che il Mieli si sarebbe ritagliato all’interno del comitato promotore, ruolo che ha di fatto privato il movimento di un vero e necessario terreno di confronto, confinando buona parte dell’attivismo romano a mero ruolo di “comprimario” in quello che è uno dei momenti centrali e visibili delle lotte GLBTQI.
Il Circolo Mario Mieli ha risposto a molte delle critiche ma infine, in buona sintesi, si è tirato indietro dall’organizzazione del Pride romano del 2010.
Dopo il primo appuntamento nel quale vengono avanzate le critiche al Mieli, un secondo, presso al sede della CGIL di via Buonarroti, si chiude con l’impossibilità, a dire del Mieli, di resettare e tornare indietro su questo strappo che si è consumato in due incontri.
A questo punto, il comitato che si è (auto)incaricato di coordinare il

RomaPride 2010 ha indetto una serie di Workshop, aperti a tutti coloro che volessero parteciparvi e contribuire al nuovo percorso in fieri. Il primo workshop ha avuto luogo presso la Libreria Gabi. Una psicoterapeuta responsabile della consulenza psicologica di DiGayProject, dirigeva il workshop, dando ai partecipanti carta, penna, e mezz’ora di tempo per descrivere il “nuovo pride”, con alcune domande specifiche su: “come, quando, dove lo vorreste”.
Finita la mezz’ora, a turno ciascuno ha letto, esposto, sintetizzato la
propria idea. Ma il tempo scade, alle 22,30 bisogna lasciare la libreria. I fogli con le idee vengono consegnati alla dottoressa, che li raccoglie per farne la base per il prossimo workshop.
Il secondo workshop: la psicoterapeuta ha un foglio in cui sono sintetizzati in punti tutte le proposte venute fuori dall’incontro precedente, base di lavoro per questo nuovo appuntamento. Ci si divide in quattro gruppi, ognuno dedicato ad un tema da approfondire: documento politico, sfilata, eventi, comunicazione. Alla fine dell’ora di elaborazione uscirà fuori il pride perfetto, condiviso, trasparente e collegiale. Concluso il workshop (perché il tempo stringe anche stavolta), un moderatore (portavoce, coordinatore?) per ogni gruppo espone agli altri il lavoro e le idee prodotte durante il workshop. Molte sono le proposte e i suggerimenti, alcune appena abbozzate, altre più articolate. Tutte comunque da vagliare e esaminare sucessivamente tranne poche cose sicure (non certo le più facili):
la data: il tre luglio;
il percorso: da piramide a via dei fori imperiali, con una certezza:
“basta che non si chieda Piazza San Giovanni”.
Curioso per un pride che vuole essere collegiale e condiviso.
Nel frattempo, il Coordinamento perde pezzi e dal Comitato spariscono Arcilesbica, Archivio Massimo Consoli, Certi Diritti. Ma i gruppi tematici continuano a lavorare via mail, e il nuovo appuntamento non è collegiale, ma, appunto, per gruppi. Intanto, voilà, escono sui mezzi di comunicazione Logo, Slogan, Data e Dichiarazione di intenti del RomaPride 2010, sotto forma di breve e succinto e rapido comunicato stampa. Senza che nulla fosse stato
discusso e menchè mai approvato ai workshop.
Arriviamo quindi a sabato 15 maggio quando partecipiamo alla riunione del “gruppo politico” incaricato di redigere il documento politico del Roma Pride 2010, con molte perplessità, e degli interrogativi. In qualche modo, abbiamo avuto delle risposte e pochi chiarimenti. Si è parlato di un Pride NUOVO. Si è parlato di condivisione e trasparenza.
A nostro parere, questi principi sono stati contraddetti,
nella sostanza e nella forma, proprio nei suoi primi passi. Tutti i passaggi, gli step, cui abbiamo preso parte in prima persona o cui abbiamo assistito da vicino, portano ad una direzione che non ci appartiene.
Un Workshop è una forma collegiale e democratica, che va però gestita affinché sia efficace e produttiva. Ma una riflessione così importante, ovvero gettare le basi per il nuovo, all’interno del movimento LGBTQI romano ed italiano, non può essere compressa in una oretta di esposizione, dopodiché il tempo stringe, e bisogna essere efficaci produrre qualcosa, lasciando al confronto uno spazio esiguo, relegandolo ad un costruttivo lavoro via mail (con la premessa di un nuovo confronto condiviso), che però si ritrova nuovamente schiacciato dalla fretta e dalle scadenze. E in nome della fretta e delle scadenze, data, logo, slogan e qualche riga di comunicato stampa sono apparsi online su giornali, FB e sui network LGBTQI, senza avviare NESSUN confronto all’interno del Workshop. Il tutto mentre era ancora in embrione il documento politico, che sembrava peraltro a tutti uno step logico e necessario anche per il “nuovo” Pride, visto che la divisione in quattro gruppi di lavoro è stata prodotta da chi ha organizzato il workshop politico, quindi dal “coordinamento”. Un documento politico che vorrebbe essere diverso, per forma e contenuto, rispetto a quello degli anni precedenti, giudicato lungo, ideologizzato, e in sintesi, “vecchio” e superato. Un momento cruciale: si vogliono cambiare i metodi rispetto alle gestioni precedenti dei pride romani, innescando un processo delicato di rifondazione, eppure, un passaggio così importante è stato gestito senza collegialità, senza trasparenza, senza condivisione, ma al contrario, con una leggerezza che non ha scusanti, nemmeno nella fretta, nemmeno nella tempistica stretta che ci si è data. Un passo del genere, non è semplicemente una mossa ingenua, un pasticcio dovuto all’inesperienza. Chi organizza questo passaggio, non è nuovo all’organizzazione di manifestazioni, pride, comunicati stampa. Leggiamo quindi in questi
comportamenti una volontà precisa e mistificatrice.
Per queste motivazioni la nostra decisione è stata quella di non
continuare a partecipare ai lavori organizzativi di questo Pride romano. Trovarsi con le spalle al muro, costretti a seguire un percorso forzato, appiattisce e azzera la discussione e il confronto, impoverisce il dibattito politico (e parliamo di politica, qui), senza spazio per una riflessione che deve essere lenta metabolizzata, aperta. Questa logica non ci appartiene e non dovrebbe appartenere a nessuno. Se si vuole veramente avviare un nuovo processo, COLLEGIALE, APERTO, un percorso in cui TUTTI gli attori si danno spazio e lasciano spazio anche a chi ha avuto difficoltà ad avere una voce, vista la volontà di tantissimi soggetti ad impegnarsi a partecipare questo momento, si sarebbe dovuto fare TUTTI un passo indietro. Con queste premesse, il Roma Pride 2010 non si dovrebbe proprio fare, avviando invece questo famigerato, desiderato processo di cambiamento. Si devono chiamare a un tavolo di lavoro aperto (e non a un workshop a tempo) tutte le forze in gioco; sia gli organizzatori del nuovo (?) pride, che coloro che lo hanno organizzato sino ad ora e che hanno deciso di tirarsi indietro. E ci si auspicherebbe la partecipazione più che importante anche di chi, non
sentendosi rappresentato, ha abbandonato questo percorso.
Questo Pride parte debole e ambiguo fin dal principio. Anzi, fin dalle sue dichiarazioni di principio subitaneamente disattese dalla pratica. Abbiamo ritenuto impossibile, per noi, partecipare in queste condizioni, rispettando ovviamente il lavoro di chi in buona fede, con spirito critico e vigile, democraticamente, sta cercando di operare per un bene comune, ma che troppo spesso rischia di legittimare istanze tutt’altro che utili alla causa del movimento LGBTQI.

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