Rabbit Hole – Recensione in Anteprima

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Festival Internazionale del Film di Roma 2010
Rabbit Hole
Recensione in Anteprima
Il dolore per un lutto e la sua complessa elaborazione tornano ad interessare Hollywood con Rabbit Hole. Nel film di John Cameron Mitchell sono Nicole Kidman, qui in veste anche di produttrice, e Aaron Eckhart a dover affrontare con forza la perdita di un figlio, provando a reagire.

Adattato da una piéce teatrale del premio Pulitzer David Lindsay-Abaire, qui anche in cabina di sceneggiatura, Rabbit Hole conferma le doti registiche dell’indipendente e solitamente provocatorio Mitchell, in passato visto in cabina di regia con il pluripremiato Hedwig – La diva con qualcosa in più e con il trasgressivo e sottovalutato Shortbus – Dove tutto è permesso, e rilancia la carriera della Kidman, ultimamente affondata dinanzi a scelte filmiche opinabili e a prove d’attrice ben lontane dagli standard a cui ci aveva abituato.

La vita di una coppia felice, rivoluzionata dalla morte del figlio di 4 anni. Partendo da queste premesse il giovane Mitchell ha costruito il suo dramma intimo e familiare, elaborando probabilmente anche un lutto privato, avendo dovuto sopportare, da adolescente, il peso della morte del fratellino più piccolo.

Se a teatro era stata Cynthia Nixon ad intepretare la parte della madre distrutta dal dolore, incapace di reagire e prepotente nei confronti del marito, in sala il compito è toccato alla Kidman, desiderosa di trasformare la premiata pièce in un film, che evitasse magari di ricalcare i soliti cliché già visti nell’affrontare un tema simile, ovviamente anche qui in parte riproposti. Da qui la scelta di affidarsi all’indipendente John Cameron Mitchell, che convince però solo a tratti, soprattutto nel costruire e giustificare malamente l’intreccio che vede protagonisti Nicole Kidman e un inizialmente misterioso ragazzo, oltre ai vari tentennamenti ‘ormonali’ di un intenso, potente e drammatico Aaron Eckhart.

Se l’alchimia tra i due è sorprendentemente notevole, con un paio di scene in cui si lasciano andare da strappare applausi, ed una terza presenza, quella di un’intensa Dianne West, che non fa altro che aggiungere ulteriore qualità, l’opera nel suo complesso si fa ammirare grazie ad una delicatezza registica che solo a tratti viene indebolita da una sceneggiatura non impeccabile, un po’ troppo ambigua, teatrale e precipitosa, su cui domina incontrastata la bravura finalmente ritrovata di una Nicole Kidman da Oscar.

Impegnato, impegnativo, potente ma imperfetto.

Voto: 6,5

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