Viola Davis splendida su Vanity Fair: “Tutta la mia vita è stata una protesta”

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Viola Davis troneggia sulla copertina di luglio / agosto di Vanity Fair, fotografata da Dario Calmese, con annessa potente intervista all’interno sulla Hollywood razzista.
Lei, che è diventata la prima donna di colore a vincere un Emmy come attrice protagonista nella serie “How To Get Away With Murder”, e a seguire premio Oscar, ha raccontato come abbia contribuito alle proteste di piazza dopo gli omicidi di George Floyd, Breonna Taylor e Ahmaud Arbery.

“Sento che tutta la mia vita è stata una protesta. Il mio lavoro è la mia protesta. Non indossare una parrucca agli Oscar del 2012 è stata la mia protesta. Fa parte della mia voce, proprio come quando mi presento e dico: “Ciao, mi chiamo Viola Davis”. Quando ero più giovane non esercitavo il potere della mia parola, perché non mi sentivo degna di avere una voce”.

È stato il sostegno e l’affetto delle sorelle Deloris, Diane e Anita e di sua madre, Mae Alice, a far accrescere l’autostima dell’attrice. “Mi hanno guardata e mi hanno detto che ero bella. Chi va a dire a una ragazza dalla pelle scura che è bella? Nessuno lo dice. Te l’assicuro, nessuno lo dice. La voce di una donna dalla pelle scura è arricchita dalla nostra storia, dai secoli di schiavitù. Se parlassimo, ci costerebbe la nostra vita. Da qualche parte nella mia memoria c’era ancora questa sensazione – che non ho il diritto di parlare, che in qualche modo me lo merito”.

L’unico rimpianto cinematografico della carriera della Davis, incredibile ma vero, si rifà al film che l’ha lanciata nell’Olimpo. The Help, negli abiti della domestica Aibileen Clark.

“C’è una parte di me che pensa come io abbia tradito me e la mia gente, perché ero in un film che non era pronto a dire tutta la verità”. Il film Disney, campione d’incassi, premiato e ben accolto dalla critica, è stato successivamente criticato per aver mostrato la solita storia del “salvatore bianco” e per aver trasformato il razzismo in una farsa sociale

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