Dylan Dog – Il Film: Recensione in anteprima

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Dylan Dog Il Film
Recensione in anteprima
Uscita in Sala: 15 marzo

Il volto di Tiziano Sclavi. Avendo letto con passione ed amore Dylan Dog per anni, darei un braccio per vedere l’espressione di Sclavi una volta assaporata la trasposizione cinematografica del suo indiscusso e celebrato capolavoro fumettaro. ‘Posso leggere la Bibbia, Omero e Dylan Dog per giorni e giorni…‘. Parole e pensieri di Umberto Eco, altro celebre personaggio che probabilmente finirà per smoccolare dopo aver visto il Dylan Dog firmato Kevin Munroe. 20 anni di attesa, oltre 10 di sceneggiature scritte e riscritte, per arrivare a questo momento, con Hollywood che ha malamente rovinato il nostro fumetto più letto ed amato, trasformandolo a suo piacimento in una porcata. Perché Dylan Dog – The Movie è purtroppo una porcata.

Perché dell’Investigatore dell’Incubo, in questo teen-horror movie prodotto dalla Platinum e dalla Hyde Park productions, non c’è nulla. Se non il nome. Indifindebile per i puristi del fumetto, ma indigeribile anche per tutti quelli che non hanno mai letto una striscia del comics di Sclavi. Chi cerca un film anche solo decente, fugga da questo folle titolo che umilia gli oltre 56 milioni di copie vendute in 25 anni di vita dall’autentico Dylan Dog, lontanissimo parente di quest’atroce versione a stelle e strisce.

Cosa succede quando si mischiano due parti di Underworld, una parte di Zombieland e al tutto si aggiunge una spruzzatina di Grosso Guaio a Chinatown? Questo incredibile quesito se lo pone compiaciuto il pressbook ufficiale del film. Se la risposta che gli autori volevano ‘imboccare’ era Dylan Dog, probabilmente qualcuno dovrebbe passargli sotto banco anche un solo numero del fumetto creato nel 1986 da Tiziano Sclavi. D’altronde sono oltre 15 anni che Hollywood ha in mano i diritti per la tanto strombazzata trasposizione cinematografica. Quando vennero venduti nessuno osava immaginare il boom dei cinecomics, con l’Italia a suo tempo impossibilitata, anche dal punto di vista produttivo, a dare vita al suo fumetto più letto ed amato. Affidandoci agli americani sapevamo a cosa saremmo andati incontro. Peccato che nessuno avrebbe mai potuto neanche lontanamente immaginare una pellicola simile.

Perché Kevin Munroe, nel 2007 visto in sala con il reboot animato delle Tartarughe Ninja, ha semplicemente reinventato un mito, rendendolo ridicolo. Affidandosi a colui che è stato Superman, ovvero il goffo Brandon Routh, meno espressivo di una banana in un cesto di mele, Munroe ha dato vita ad un nuovo capitolo di Buffy, con circa 15 anni di ritardo. Oltre la sceneggiatura, scritta con i piedi, stancante, noiosa, prevedibile, infarcita da dialoghi di quart’ordine e soprattutto slegatissima tra un cambio di scena e l’altro, con la voce fuori campo di Dylan che entra ed esce dal film raccontando quello che regista e sceneggiatori non sono riusciti ad esplicitare attraverso le immagini, c’è un’idea di fondo che purtroppo non può essere accettata. Ovvero stravolgere l’Universo Dylan Dog. Via da Lodra, via Groucho, rimpiazzato da uno zombie alla lunga anche simpatico ma fondametalmente cretino, e non genio satirico, via il Maggiolone bianco, via l’Ispettore Bloch, via Cagliostro, via Xabaras, via Morgana. Di Dylan ci sono solo il nome e il cognome, tra l’altro quasi mai pronunciato, la ‘divisa ufficiale’, il clarinetto, un biglietto da visita e l’inconfondibile ‘Giuda Ballerino’. Tutto il resto è altro, ovvero Hollywood, che plagia Beetlejuice – Spiritello porcello, sperando di ridar vita ad un nuovo Ghostbusters, mischiando zombie, licantropi e vampiri, malamente mascherati (perché il verbo ‘truccare’ qui non si addice, sarebbe eccessivo) per 3/4 di pellicola e nel ridicolo finale accompagnati da effetti speciali di Serie Z, frullati all’interno di uno script molto probabilmente partorito da menti che mai, e dico mai, hanno letto anche un solo numero partorito dalla penna di Tiziano Sclavi.

‘Dov’è Sclavi’, si chiedono più e più volte all’interno del film, giocando con il cognome di uno dei protagonisti e omaggiando l’autore originale. Mai domanda fu più opportuna, perché sarebbe estremamente interessante conoscere l’opinione di Sclavi a riguardo. Possibilmente sincera, e slegata da eventuali introiti derivanti dallo sfruttamento della pellicola. Una pellicola, priva di pathos e per lunghi tratti demenziale fino all’eccesso, che affonda anche recitativamente parlando. Se Brandon Routh è uno degli attori meno espressivi della storia d’America, e vederlo praticamente invincibile e di plastica nel finale fa sbellicare dal ridere, per la disperazione, cadono le braccia nel vedere il suo “più uno” femminile, ovvero l’atroce Anita Briem. Roba da urlare al mondo “aridatece l’Anna Falchi di Dellamorte Dellamore“, capolavoro anni 90 di Michele Soavi tratto dal romanzo omonimo di Tiziano Sclavi, per anni erroneamente considerato il primo film su Dylan Dog.

Un errore, per l’appunto, visto che ahinoi il primo film ufficiale sull’Indagatore dell’Incubo è questo, firmato Kevin Munroe, da dimenticare, immediatamente. A suon di fumetti.
Voto: 1




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