Gianni e le Donne: Recensione in Anteprima

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Gianni e le Donne
Recensione in Anteprima
Uscita in Sala: 11 febbraio
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Un David di Donatello, un Nastro d’Argento, un Leone del futuro – Premio Venezia Opera Prima “Luigi De Laurentiis” alla Mostra del 2008, una critica unanimemente conquistata ed un botteghino piacevolmente sbancato, con 2.143.000 euro euro. Due anni fa Gianni Di Gregorio, ‘giovane’ esordiente di 60 anni, ha dato vita a Il Pranzo di Ferragosto, autentica ‘perla’ del cinema italiano degli ultimi anni. Atteso al varco dalla seconda regia, Di Gregorio con Gianni e le Donne sbarca ora addirittura al Festival di Berlino, non in Concorso ma nella sezione Speciale.

Un gradito ‘premio’ per il regista/attore/sceneggiatore romano, riuscito a realizzare un film garbato come pochi se ne fanno ormai all’interno del cinema nostrano, tanto amaro quanto divertente, con quella terza età, toccata con mano con la pellicola d’esordio, nuovamente presa in esame, ma senza riuscire a conquistare del tutto come fatto in precedenza.

Gianni ha sessant’anni, portati dignitosamente. Già pensionato, passa le sue giornate senza far apparentemente nulla, al servizio delle donne che lo circondano. Sua moglie, praticamente inesistente per via del lavoro, con cui non dorme neanche a letto insieme; sua figlia, ad un passo dagli esami di maturità e impelagata con un fidanzato nullafacente che si è piazzato giorno e notte in casa; la sua vicina di casa, giovanissima, sensuale e fisicamente prorompente, con cui vive un reciproco amore platonico; e soprattutto sua madre, novantenne nobildonna decaduta che si ostina a vivere nella vecchia villa alle porte di Roma facendo allegra finanza, con badanti super pagate, amiche trattate come regine e spese più o meno pazze. Attorno a lui, in una Trastevere battuta dal caldo e afoso sole estivo, decine di vecchi in compagnia del cane, con annesse amanti e vite sessualmente attive. Gianni, sempre più depresso e zavorrato dalla natura mite ed estremamente educata che da sempre lo contraddistingue, capisce che è arrivato il momento di darsi una svegliata, rimettendo così in moto il proprio motore, senza però andare oltre il tanto fumo, e il poco arrosto…

Gradevole, leggero, scorrevole, garbato, sinceramente piacevole. Il cinema di Gianni Di Gregorio, scoperto colpevolmente in ritardo, conferma le doti palesatisi con Il Pranzo di Ferragosto, esordio tanto riuscito ed apprezzato da mettere ovviamente in crisi l’attesa seconda pellicola, chiamata allo scontato paragone con chi l’ha dignitosamente preceduta. Il ‘personaggio’ Gianni Di Gregorio, questo è innegabile, trova una sua conferma. Il volto dell’attore, appesantito da quell’età ‘avanzata’ che trova una sua spontanea fioritura nelle imponenti borse sotto gli occhi, è una splendida maschera recitativa, da commedia allo stato puro. Mai volgare, mai forzato, sempre misurato, accompagnato da una voce ferma, decisa e bagnata da un romano forte ma mai fastidioso, Di Gregorio si pone al centro della scena, realizzando un film a sua immagine e somiglianza. Circondato da donne, è comunque lui il protagonista assoluto della pellicola, tanto da rubare caratterizzazioni e ’senso’ a tanti di quei personaggi femminili che alternativamente entrano ed escono dal film. L’inesistente rapporto con la moglie, quello balbettante con la figlia, la fugace comparsa di Valeria, fiamma del passato, la presenza fluttuante della giovane e sensuale vicina, la provocante silhouette della badante della madre, e la figlia di un’amica dell’anziana donna, non sono altro che figure femminili che incrociano la vita di Gianni, senza però andare mai incontro ad una rappresentazione realmente strutturata.

Dal punto di vista della ’scrittura’ Di Gregorio si perde quindi buona parte dei personaggi del suo film, riuscendo a pennellare in maniera convincente solo se’ stesso, il ragazzo di sua figlia, talmente stralunato da risultare straordinario, e sua madre, interpretata magnificamente da quella Valeria de Franciscis già amata ne Il Pranzo di Ferragosto. Tutte le altre donne che entrano ed escono dalla sua vita fanno altrettanto con la pellicola, senza mai convincere del tutto, perché accompagnate da una cornice tanto appariscente quanto flebile, per non dire friabile, anche se dichiaratamente ‘reale’. Archiviato l’esordio, Di Gregorio cambia registro anche dal punto di vista prettamente registico. Dimenticato il tocco alla ‘Garrone’, con cui ha collaborato per anni, l’occhio del regista si fa qui più particolareggiato, più attento, tecnico e curato, grazie anche ad una fotografia indubbiamente più strutturata e ad un impianto produttivo decisamente differente. Se con Il Pranzo di Ferragosto il budget era 1, qui come minimo si è quintuplicato. E si vede.

Persa la ‘novità’ del primo film, ciò che rimane è sicuramente un autore ‘diverso’ dal solito cinema italiano a cui da anni siamo tristemente abituati, maturo e attento a quella ‘maturità’ raramente rappresentata, conscio delle proprie qualità ma in questo caso lasciato probabilmente eccessivamente ‘libero’, soprattutto in cabina di scrittura. Il suo attento sguardo da ‘moderna e amara commedia neoralista’, apparentemente leggero ma in realtà pensato e sensato, torna quindi ad incuriosire e ad affascinare, anche se con qualche riserva. Se poi come sembra questi ultimi 6 mesi passeranno alla storia del cinema nostrano per il ‘boom’ della commedia italiana, tra Zalone, cinepanettoni, Aldo, Giovanni e Giacomo, Veronesi, Brizzi, Albanese, Boldi e Claudio Bisio, Gianni Di Gregorio fa certamente la sua porca figura, anche dinanzi ad un ritorno in sala tanto imperfetto, e sicuramente inferiore al precedente titolo, quanto comunque gradevole.

Voto: 7

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