Splice: Recensione in Anteprima

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Splice
Recensione in Anteprima
Uscita in Sala: 13 agosto
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3 film appena in 13 anni. Cube – Il cubo nel 1997, Cypher nel 2002 e Nothing nel 2003. 10 anni dopo averne scritto la sceneggiatura, e 7 anni dopo il suo ultimo lungometraggio, escluso un episodio di Paris, je t’aime nel 2006, torna in sala l’apprezzato e talentuoso Vincenzo Natali con il fanta-horror Splice. Prodotto da Guillermo Del Toro, il film ha clamorosamente deluso al botteghino americano, troncando sul nascere un probabile sequel.

Un ‘insuccesso’ inatteso, vista la particolare attesa nei confronti della pellicola e le buone recensioni ricevute dalla critica statunitense, sinceramente troppo benevola nei confronti di Natali e di questo chiacchierato ritorno. Straordinariamente teso, inquietante ed angosciante nella primissima parte, Splice si perde infatti con il passare dei minuti, finendo per raschiare il fondo del ridicolo con tutta la parte finale, tanto da strappare scroscianti, e assolutamente involontarie, risate di scherno.

Un film a metà. Splice di Vincenzo Natali può e deve essere diviso in tre parti. La prima, ottima, incalzante, a tratti paurosa; la seconda, debole, zoppicante, con i primi segni di ’squilibrio’ di scrittura che iniziano a farsi vedere; la terza, folle, scappata via di mano, quasi imbarazzante e purtroppo comica, tanto da far crollare malamente il castello di ansia costruito inizialmente.

Pensato all’inizio del 2000, Splice ha avuto una gestazione lunghissima. Solo un producer come Guillermo Del Toro poteva dare carta bianca allo script di Natali, tanto ‘eticamente’ attuale quanto facilmente attaccabile da un certo tipo di stampa, conservatrice e filoclericale. Grazie anche ai passi da giganti fatti dalla CG, Splice è così potuto sbarcare in sala solo oggi, nel 2010, miscelando con sapienza e un ottimo riscontro visivo trucco, effetti digitali ed effetti puramente meccanici.

Elsa e Clive sono due giovani scienziati, due autentiche rockstar della genetica. Trascinati dalla foga di toccare con mano scoperte sensazionalistiche, i due osano l’inosabile, unendo il DNA di un animale a quello di un essere umano. Nasce così un nuovo e misterioso organismo, metà donna e metà bestia. Chiamata Dren, la creatura si sviluppa velocemente, passando dall’essere una piccola e tenera infante, nel giro di pochi mesi, a una bellissima ma pericolosa chimera umana alata, sempre più pericolosa e minacciosa, anche per i suoi due ‘genitori’…

Vero e proprio horror fantascientifico, Splice funziona quindi a metà. Prendendo spunto tanto da Frankenstein quanto dal mito di Prometeo, Natali porta al cinema due mostri ‘umani’, i due scienziati, interpretati da un Adrien Brody sempre più intristito e da una Sarah Polley che fa il verso alla Scully di X-Files, pronti a creare la vita, giocando così ad essere Dio. Un esperimento folle portato avanti per il bene del ‘genere umano’ che in realtà nasconde altre presunte motivazioni, con il tempo svelate dal regista, in veritàflebili e poco credibili. I due protagonisti, Brody e la Polley, perdono colpi minuto dopo minuto, finendo per lasciare per strada totalmente, e inspiegabilmente, il controllo sulla loro creatura, e sulla loro stabilità mentale.

Tralasciando una doppia svolta finale che rasenta l’imbarazzo, sia per come viene mostrata che per come viene gestita, durante e soprattutto dopo ‘il fattaccio’, Natali perde palesemente la bussola dei propri personaggi, crollando proprio sulla loro evoluzione, che segue passo passo quella della creatura. Tecnicamente intrigante, mai banale e capace, soprattutto all’inizio, di costruire un crescendo di tensione mista ad angoscia, la regia del regista canadese convince, così come funziona la cupa fotografia, ricca di luci ed ombre, di Tetsuo Nagata, e la creatura, mai nascosta e anzi mostrata in tutte le fasi della propria vita.

Facendo maggiore attenzione al tutto Natali poteva dar vita ad un altro cult movie, dopo l’indimenticato Il Cubo. Così, tra scienziati pazzi e mostri ingrifati, ha finito per realizzare un vero e proprio ibrido, nè umano nè animale, nè capolavoro nè porcata. Peccato.

Voto: 5,5

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