Mine Vaganti – di Ferzan Ozpetek: Recensione in Anteprima

Condividi

Mine Vaganti
Recensione in Anteprima
Uscita in sala: 12 marzo
Postata da ME anche qui

Due anni dopo il pessimo Un giorno Perfetto, Ferzan Ozpetek fa il suo atteso ritorno ad un cinema che è nel suo Dna, capace di miscelare melò e commedia, dando ampio spazio alla contemporaneità italiana, tra diversità e normalità. Mine Vaganti, suo ottavo film, applauditissimo al Festival di Berlino dove è stato presentato fuori concorso, torna sui livelli dei lavori maggiormente apprezzati del regista turco, attraverso una storia corale, capace di commuovere e far sorridere, raccontando le reazioni di una famiglia ‘tradizionale’ dinanzi all’inatteso coming out del figlio.

Incorniciata in una Lecce da cartolina, tra ulivi, pasticciotti e l’azzurro mare di Gallipoli, Mine Vaganti riesce a raccontare con forza e leggerezza uno spaccato d’Italia, ancora oggi fortemente omofobo, annebbiato dalla prepotenza dei luoghi comuni, portando al cinema ancora una volta una famiglia, di sangue ma non solo. Una famiglia allargata ma non nel senso stretto del termine, dove c’è posto per tutti, parenti ma anche amici, dove ciò che conta non è tanto la sessualità del proprio fratello, amico o figlio, ma semplicemente la sua felicità. Perchè se c’é quella, tutto il resto è puro contorno…

Via dalla ’sua’ Roma, via dalla ’sua’ amata Ostiense, per approdare in Puglia, nel Salento, nella splendida Lecce, in una Regione governata da un politico dichiaratamente omosessuale, con una città, Gallipoli, autentica capitale gay d’Italia, estate dopo estate, spiaggia dopo spiaggia. Ferzan Ozpetek qui ambienta il suo atteso ritorno in sala, dopo le critiche piovutegli addosso con Un giorno Perfetto, stroncato dalla stampa e snobbato in sala dal pubblico. Il regista turco è così tornato ai suoi amati melodrammi, che l’hanno reso famoso ed autentica icona del movimento glbtiq nazionale (e non, il film è già stato venduto in 15 paesi), macchiandoli con inattesi ma riusciti momenti di commedia pura, giocando con clichè omosessuali ed omofobi che ancora oggi, nel 2010, regnano incontrastati tanto al nord, quanto al sud.

Ci ritroviamo così in un’Italia in cui il diverso viene sempre più visto con un occhio infastidito, in cui viene letteralmente etichettato come ‘assassino della normalizzazione’, in un’Italia che regredisce, perchè come dice uno dei protagonisti della pellicola “siamo per l’appunto nel 2010, e non nel 2000“, quando il World Gay Pride invadeva le strade della capitale, dando l’impressione che il paese fosse finalmente dinanzi ad una svolta, politica e sociale. Una svolta mai arrivata, tanto da ripiombare nell’omofobia più bieca e spinta. Tommaso si è trasferito a Roma per studiare Economia, lasciando Lecce e il pastificio di famiglia. Peccato che la sua vita romana sia ben diversa da quella che conoscono i parenti. Tommaso ha infatti scelto un’altra università, Lettere, e non vuole seguire le orme del padre, prendendo le redini del panificio. Ma il più grande segreto, per Tommaso, è ben più intimo e personale, visto che riguarda i suoi affetti e la sua sessualità: è omosessuale. Gay, felice di esserlo e fidanzato, Tommaso torna a casa con la seria intenzione di raccontare tutto ai genitori, vecchio stampo e preoccupati dei pettegolezzi, delle dicerie, delle malelingue di città, in una casa, quella dei Cantone, dove la ‘normalità’ sembra proprio non esistere…

Tanti personaggi, tante storie, tanti segreti, più o meno nascosti, tante recriminazioni, per un film corale, che si concede colpi di scena, ricordi passati, danze felliniane, con vivi e morti che si intrecciano, facendo riflettere, sorridere ed anche commuovere. Mine Vaganti fa tornare il regista turco ai tempi della ‘doppietta perfetta,’ Le Fate Ignoranti/La Finestra di Fronte, perdendosi spesso in dialoghi eccessivamente melodrammatici e spesso palesemente forzati, ma comunque capaci di convogliare le proprie emozioni attraverso un binario doppio, in cui dramma e commedia corrono paralleli, per poi incontrarsi definitivamente, poco prima dell’arrivo in stazione, attraverso un bellissimo e riuscito finale in cui vivi e morti incrociano le proprie strade, in un trionfo di normalità, fatto di pura e semplice felicità.

Come sempre capace di ottenere il meglio dai propri attori, Ozpetek ripete l’impresa anche in questa occasione. Riccardo Scamarcio cambia più maschere durante l’arco di tutta la pellicola, vivendo passivamente l’evolversi degli eventi, vestendo i panni di un omosessuale che non ostenta, che non urla al mondo la propria omosessualità semplicemente aprendo bocca o muovendo una mano, che gioca addirittura a calcio con il proprio fratello durante una pausa pranzo lavorativa. Ozpetek evita di farne uno stereotipo vivente, concedendogli solamente una ’scheccata’ musicale dinanzi ad uno specchio, oltre ad un tenero bacio ricco d’amore con il proprio compagno. Il suo coming out è una sorpresa per tutti, perchè, incredibile ma vero, non ’sembra frocio’, come se ogni omosessuale ce l’avesse scritto sulla fronte. Senza dimenticare l’altra faccia della realtà, il regista turco vira alla commedia più pura e spassosa facendo piombare in casa ‘Cantone’ gli amici di Scamarcio, loro sì, gay nel profondo, dichiaramente omosessuali ma felici di esserlo. Ragazzi gioiosi, pieni di vita, che faranno di tutto per tenere a bada il loro ‘vero io’, evitando di combinare ulteriori guai all’interno della famiglia.

Una famiglia vecchio stampo, stereotipata nei suoi componenti e dominata dalla vecchia, moderna, malinconica e saggia nonna, interpretata da una bellissima e commovente Ilaria Occhini, dall’omofobo e rigido padre, ovvero uno straordinario Ennio Fantastichini, e dalla silente, leggermente isterica e trattenuta madre, ovvero la sempre purtroppo sottovalutata Lunetta Savino. A questi si aggiungono la spassosa, sognante, orba e sessualmente ‘nascosta’ Elena Sofia Ricci, nei panni della zia dal gomito troppo alto, la convincente ed affascinante Nicole Grimaudo, imprenditrice leccese dal passato oscuro (troppo oscuro, Ozpetek si perde parti della sua storia seminando senza poi raccogliere), pronta a soffrire in eterno, perchè “l’unico amore che non muore mai è quello impossibile“, la silenziosa (perchè non dice neanche una battuta) Carolina Crescentini, nei panni della ‘giovane’ nonna, ed il misterioso e ‘rivoluzionario’ Alessandro Preziosi, personaggio su cui nulla dirò per evitare di rovinare possibili sorprese, sempre troppo poco visto in sala.

Tante piccole e pericolose ‘mine vaganti’, pronte ad esplodere e a cambiare la vita di chi le circonda, creando scompiglio ed esplosioni a catena. Ozpetek ovviamente non tradisce il ‘proprio cinema’, qui riproposto in tutto e per tutto, tra tavolate in famiglia, dove raccontarsi, ridere e litigare, quintali di cibo e di gustosi dolci, da assaporare tra continui carrelli (troppi) che avvolgono e danzano con gli attori, momenti comici ed altri anche eccessivamente melodrammatici. Senza lasciare nulla al caso, il regista, che purtroppo troppo spesso si perde in dialoghi scialbi e privi di senso, nel voler essere a tutti i costi forzatamente ‘alti’, non convincendo quindi del tutto in più di una scena, riesce comunque a far passare un messaggio tanto ovvio e naturale quanto incredibilmente ancora raro, almeno qui in Italia. Omosessuali o eterosessuali, non esiste normalità o diversità, non esistono ‘normali’ o ‘diversi’, non esiste una sola famiglia, quella di sangue, quella solitamente detta ‘tradizionale’, ma tante realtà, tanti io, tante famiglie, dove solo una domanda dovrebbe imporsi, per essere posta. Una domanda che non chiede lumi sulla sessualità altrui, limitandosi ad un semplice e diretto “sei felice?”. Ottenuta questa risposta, non c’è proprio nient’altro da sapere…

Voto: 7+

Autore

Articoli correlati

Impostazioni privacy