Fame – Saranno famosi (2009): Recensione in Anteprima

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Fame – Saranno famosi (2009)
Recensione in Anteprima
Uscita in sala: 9 ottobre
Recensione postata da me anche QUI

Quando si dice il destino. Affollata prima stampa per il temuto e al tempo stesso atteso ‘revival’ di Saranno Famosi, capolavoro indiscusso di Alan Parker del 1980. Superato qualche minuto di accettabile ritardo, al calare delle luci e al calmarsi del brusio incontrollato di voci, in sala è susseguito un improvviso lampo. Vi starete chiedendo cosa fosse (in caso contrario, chiedetevelo comunque)? La pellicola, appena bruciata. Segno del destino o amara profezia? 108 minuti dopo, risistemata la ‘pizza’ e al riaccendersi delle luci, l’amara conferma

Sono passati 29 anni da quando Alan Parker rivoluzionava il mondo del musical, ottenendo 6 candidature all’Oscar e vincendo due statuette. 29 anni dopo, la Metro-Goldwin-Mayer, la Lakeshore Entertainment e la United Artists hanno pensato male di ripescare dal passato quel titolo di culto, rovinandone i ricordi e distruggendone l’immagine. Affidato ad un ex coreografo 24enne (ebbene sì…) sconosciuto al mondo del cinema, tale Kevin Tancharoen, che nel proprio curriculum può vantare le coreografie di un tour mondiale di Britney Spears (ebbene sì…) e la regia di Dancelife, reality show prodotto da Jennifer Lopez (ebbene sì… sono tre ma non abbiamo finito), Fame – Saranno Famosi prende il peggio di High School Musical e di tutti i ‘talent movie’ visti negli ultimi anni in sala, finendo per deragliare sul perfido campo della parodia di se stesso.

Perchè riportare in sala Saranno Famosi? Perchè un’operazione simile? Perchè il ‘marchio’ Fame è ancora oggi famosissimo in tutto il mondo. Oltre al film e alla serie tv, sono nati negli anni musical su musical, senza dimenticare l’indimenticabile colonna sonora, gli omaggi più o meno palesi del mondo del cinema e della tv e l’infinito mondo legato al merchandising. In tempi di magra, era quindi facile intuire che prima o poi Hollywood sarebbe tornata su Saranno Famosi, agguantandone qualche pezzo. Peccato che l’operazione “revival” (che non si parli di remake) non solo non è funzionata, ma si è quasi resa ridicola.

Al centro della storia la celebre e prestigiosissima School of Performing Arts di New York, nata nel lontano 1936 e capace nei decenni di formare alunni come Al Pacino, Jennifer Aniston, Adrien Brody, Liza Minnelli e Sarah Michelle Gellar. Qui era ambientato il Fame originale di Alan Parker, qui ovviamente si torna, 30 anni dopo. Rimaste intatte le basi della trama, che vede come protagonisti un folto gruppo di ballerini, attori, cantanti e musicisti pseudo artisti di talento che vivono per 4 anni all’interno della scuola, cullando il sogno del successo e della fama (spesso mai toccata con mano e per questa madre di cocenti e pericolose delusioni), il film si perde poi negli immancabili clichè nel dover andare ad unire le varie sottotrame dei vari personaggi.

Sceneggiato raccogliendo le 1000 frasi più banali, scontate, ovvie e sinceramente fastidiose del mondo dello spettacolo, tipo “solo credendo in te puoi farcela veramente“, ed accostando ad ogni maledetto alunno della scuola una famiglia composta dai soliti ed immancabili genitori che mai e poi mai credono nelle potenzialità del proprio figlio, passando così 4 anni 4 a ricordargli che quello che sta facendo è puro tempo perso (ebbene sì…), il film raschia il barile del patetico, costruendo malamente situazioni ‘di vita’ al limite dell’assurdo. Ci si ritrova così in sala a dover sopportare frasi del tipo “messaggiami l’indirizzo” o “ti penso abbastanza spesso“, finendo più di una volta per sganasciarsi dalle risate, con vette elevatissime toccate grazie ad un ‘provino a luci rosse’ e ad un ‘perdono artistico’ finale da parte di una compassionevole madre.

Al trionfo delle banalità, ovvero la sceneggiatura, si aggiunge una regia palesemente inadeguata, videoclippara e incapace di andare oltre l’occhio di bue (o all’occorenza una più semplice lampadina) infilato sullo sfondo di ogni benedetta scena o ad uno dei quattro angoli dello schermo , a cui va aggiunta l’altrettanto scolastica fotografia sgranata, in modo da avere il classico “effetto Broadway” 100 minuti su 108. Se non è record poco ci manca. Probabilmente Kevin Tancharoen è convinto di aver costruito momenti di alta intensità emotiva utilizzando questo “innovatissimo” stratagemma, che in conclusione finisce invece semplicemente per infastidire (eufemismo). A venirgli incontro le immancabili scene di ballo, su cui sicuramente Tancharoen, da buon coreografo, se la cava (finalmente). Montaggio serrato e a tempo con la musica in perfetto Chicago Style (paragone forzatissimo), buone coreografie ed interessanti risultati, se non fosse che tutte sono maledettamente slegatissime dal resto della pellicola e della trama. Piccoli video musicali all’interno di un film che non ha un filo logico, perdendosi addirittura dal punto di vista cronologico.

In 108 minuti, infatti, viviamo tutti e 4 gli anni vissuti dagli studenti all’interno della School of Performing Arts. 20 minuti circa per il primo anno, una mezz’ora buona per il secondo, ed altri venti minuti a testa per gli ultimi 2, con i restanti minuti dedicati agli osceni e banalissimi provini iniziali. Bene, nella costruzione di questi 4 anni Tancharoen combina un delirio, portando a compimento situazioni che la logica vorrebbe concluse al massimo in un paio di settimane, e non in un anno, come invece più di una volta accade.

A completare l’opera non aiuta il cast, giovane, poco conosciuto e sinceramente poco esaltante, se non fosse per la bellissima voce di Naturi Naughton, con cui la distribuzione italiana si è letteralmente sbizzarrita. Perchè? Perchè pur di infilarci un ex alunno di Amici di Maria, ex Saranno Famosi televisivo nazionale, hanno fatto doppiare il personaggio di Naturi, Denise, a Karima, ex allieva della scuola di Amici vista anche lo scorso anno a Sanremo. Dov’è la stranezza? Ebbene, Denise nel film è una pianista che si scopre cantante nel corso della pellicola! Peccato che quando suoni il piano abbia la voce non all’altezza di Karima (non è una doppiatrice, finiamola con questa moda di far doppiare film a chiunque sia apparso anche solo una volta in tv), mentre quando canta, giustificando quindi in teoria un doppiaggio dell’ex cantante di Maria, finisca per cantare ovviamente con la propria splendida voce! A conti fatti Karima tutto fa tranne che cantare… geniale.

Cosa ne rimane di questo ‘revival’? Una pellicola sinceramente brutta, sceneggiata in maniera terribile, recitata alla meno peggio (povera Debbie Allen, trasformata in Preside, con al suo fianco Megan Mullaly, ovvero la mitica Karen Walker di Will&Grace) e diretta scolasticamente da un ex coreografo che prima di fare cinema doveva fare tanta altra gavetta (Kenny Ortega su tutti, il suo High School Musical 3 in confronto a questo Fame è storia del cinema). Nata come primo possibile capitolo di un nuovo franchise legato al ‘brand’ Saranno Famosi, l’idea è forse già naufragata, visti i deludenti risultati ottenuti al box office americano. Qui da noi la pellicola molto probabilmente sbancherà, per la gioia della Freddy, che ha disseminato il film di product placement, non meritando però nessun tipo di considerazione ‘qualitativa’. Mai come questa volta la possibile quantità non può e non deve essere associata alla qualità.

Saranno Famosi di Alan Parker era tutta un’altra cosa. Punto. Questo “revival” non merita neanche lo sforzo di uno scontato paragone, anche se rapportato ai tempi che corrono, tanto da essersi probabilmente guadagnato sul campo l’iniziale destino predetto dall’anteprima stampa romana. Remember my name? Ma anche no.

Voto:3

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