Shutter Island – di Martin Scorsese: Recensione in Anteprima

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Shutter Island
Recensione in Anteprima
Uscita in sala: 5 marzo
Postata da me anche qui

Clamorosamente rinviato da ottobre 2009 a febbraio 2010, perdendo così l’opportunità di concorrere agli Oscar del prossimo marzo, Shutter Island di Martin Scorsese arriva finalmente in sala, lasciando tutti con un dubbio: e se fosse uscito ad ottobre, l’avremmo visto agli Oscar? Sì, l’avremmo visto agli Oscar. Portando in sala lo stupefacente romanzo di Dennis Lehane, autore tra l’altro di Mystic River, Scorsese realizza un’altra gemma, l’ennesima della sua incredibile ed ineguagliabile carriera. Trascinato da una regia semplicemente impeccabile e da un Leonardo DiCaprio ormai indescrivibile per quanto bravo, Shutter Island angoscia e conquista, attraverso una storia che vira dal thriller psicologico all’horror gotico, tra flashback, allucinazioni e continui colpi di scena.

Omaggiando il cinema espressionista tedesco (ed austriaco), Scorsese riporta in sala le atmosfere di Fuller e Preminger, senza dimenticare Lang e Murnau, finendo come suo solito nel realizzare l’ennesimo tripudio di citazioni, figlie di una conoscenza cinematografica semplicemente mostruosa. In 140 minuti Martin ci porta in un’isola ai confini del mondo, dominata dalla violenza e dalla paura, dal mistero e dalla follia, dove nulla è come sembra e tutto sembra celare un complotto, fino all’arrivo del sorprendente e splendido finale…

Robert Richardson, collaboratore storico di Quentin Tarantino, alla fotografia, la fedele Thelma Schoonmaker, da oltre venti film al fianco del regista, in cabina di montaggio, Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo alle scenografie, Leonardo DiCaprio come attore protagonista, Martin Scorsese alla regia. Basterebbero questi credits per inquadrare Shutter Island, atteso ritorno in sala del leggendario director italoamericano, pronto ad entrare nella psiche umana in questo thriller ad altissima tensione, che agli Oscar, a questi Oscar, avrebbe potuto fare furore.

Siamo nel 1954, in piena Guerra Fredda. Alla prigione-manicomio dell’isola di Shutter una paziente è scomparsa, misteriosamente. Non una paziente qualunque, ma Rachel Salando, condannata per l’omicidio dei suoi tre figli e considerata tra le più pericolose ‘criminali’ di Shutter. Ad indagare, dalla terra ferma, viene inviato l’agente federale Teddy Daniels, a cui viene affidato il compito di ritrovare la fuggitiva. Peccato che l’isola di Shutter sia un concentrato di misteri, alimentati da un uragano e da una serie di ambigui personaggi, che porteranno l’agente Teddy sulle soglie della pazzia, tanto da non saper più distinguere la realtà dall’immaginazione

Il dolore, la tragedia umana, il senso di perdita, la colpa, il trauma, la follia, la paura, la violenza. Temi assai cari a Martin Scorsese, più volte ammirati nelle sue opere e ancora una volta presi in esame e ben rappresentati con questo Shutter Island, psico-thriller pronto a trascinarci in un folle viaggio verso un’isola da cui è impossibile scappare, rappresentando perfettamente il terrore. Alternando flashback e allucinazioni a realtà ed immaginazione, Scorsese rimette più volte le carte in gioco, lasciando lo spettatore in un stato di ansia e di tensione che resisterà fino agli ultimi incredibili minuti, con l’ennesimo colpo di scena dietro l’angolo.

A portare sulle proprie spalle l’intera storia un personaggio splendido, nella sua complessità, nelle sue sfaccettature e nel suo essere tremendamente articolato, come quello di Teddy Daniels, capo della polizia locale inviato sull’isola di Shutter insieme al suo nuovo partner, Chuck, per indagare sull’incredibile scomparsa di una pluriomicida. Un uomo duro, un veterano di guerra, con un passato terribile da voler dimenticare, che proprio sull’isola cercherà di fare il suo ritorno, in un crescendo di visione, di ricordi ossessivi e di una paura incessante. Un uomo violento, per un dolore in realtà interiore ma esteriorizzato all’esterno, fino a quando la verità, la dura verità, non verrà a scontrarsi con lui.

A vestirne i panni colui che ormai da anni è in assoluto l’attore più bravo della propria generazione, Leonardo DiCaprio. Scandalosamente snobbato fino ad oggi dall’Academy, DiCaprio domina l’intera pellicola, regalando un’interpretazione mostruosa, fatta di spaventose e commoventi maschere, segnando così il film, inquadratura dopo inquadratura. Il suo Teddy Daniels entra nella galleria dei grandi personaggi maschili portati al cinema da Scorsese, con quel ’seme della violenza e della follia’, tanto amato dal regista, ancora una volta pronto a germogliare, attecchendo in questo caso lungo i campi di concentramento nazista. Affiancato da Mark Ruffalo, Ben Kingsley, Michelle Williams, Patricia Clarkson, Max von Sydow ed un diabolico Ted Levine, a cui Scorsese concede un monologo sulla violenza, “voluta ed amata da Dio”, da pelle d’oca, DiCaprio sovrasta tutti, facendo ombra all’intero cast dall’alto della sua ormai quasi imbarazzante bravura.

Registicamente perfetto, e con tante, tantissime scene che colpiscono nel segno (lo sbarco sull’isola è da manuale), il film si affida inoltre a mostri tecnici di altissimo livello. Dall’angosciante, gotica e alienante fotografia di Robert Richardson passiamo al folgorante ed illuminante montaggio di Thelma Schoonmaker, senza dimenticare il minuzioso ed inquietante lavoro sulle scenografie dei nostri Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, le conturbanti musiche, comprese quelle del nostro Gioacchino Scelsi, e la sceneggiatura ad incastri di Latea Kalogridis, che rimanda a classici del genere come “Il Gabinetto del Dr. Caligari” di Wiene, “Vertigine” di Preminger, “Le catene della Colpa” di Tourneur e “Il Processo” di Welles, in un tripudio di citazioni praticamente senza fine. Tralasciando enormi fette di trama, che se vi rivelassi sarei da fucilare, Shutter Island mette tanta (forse troppa?) carne al fuoco, tanto da far rimanere lo spettatore incollato alla poltrona per 140 minuti, tra teorie complottistiche, in perfetto “Guerra Fredda Style”, ed incredibili misteri, pronti a dipanarsi minuto dopo minuto, in un sublime crescendo di suspance.

Non ci troviamo dinanzi ad uno dei suoi tanti capolavori, ma l’ottimo Shutter Island non fa altro che confermare quanto oramai appare sempre più lampante: Martin Scorsese è il più grande regista vivente. Punto.

Voto: 8

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